martedì 8 novembre 2011

LA VITA ACCANTO di Mariapia Veladiano



Autore: MARIAPIA VELADIANO

Titolo: LA VITA ACCANTO

Editore: EINAUDI




RECENSIONE

E’ una storia in cui il silenzio traccia i sentieri di un bisogno inespresso e al contempo fagocita la vita di una bambina, inglobandola nelle spire di un rapporto che non esiste, di cui si avverte lieve la nostalgia, perché non lo si conosce. La “bruttezza” della bambina diventa il senso di un’esclusione che percorre tutti i sentieri della mistificazione e del segreto, all’interno di una famiglia che accentua i dissapori, coprendoli con un velo di sofferenze non espresse e di lacrime mai versate. Se ne discosta in un certo senso Maddalena, arcana nutrice di un affetto rapitole dal destino, che assume su di sé le responsabilità di un essere che sembra disperdersi nel vento dell’indifferenza. Il silenzio che cela il dolore si trasforma in “parole che si gonfiano di rabbia e azzannano l’anima” pronunciate da Lucilla, l’amica di sempre della protagonista che sembra dover ogni volta disvelare le apparenze e “risolvere i problemi”, divenendo un alter ego dei segreti nascosti, colei che non ha paura di parlare. Episodio fondamentale del romanzo sembra essere il primo giorno di scuola, l’apertura al mondo degli altri e, all’interno della sua casa protetta da un malcelato senso dell’ordine, il gesto di aprire le finestre e di respirare finalmente la vita. Rebecca ha sempre avvertito il bisogno di ricreare in sé un punto di riferimento, un continuum emotivo rappresentato anche dalla scelta dei colori pastello delle pareti che non vuole cambiare, perché cifre di un mondo familiare a cui disperatamente non vuole rinunciare. E’ lei “una bambina brutta che osserva, indaga, ascolta, percepisce, intuisce” il senso nascosto del dolore di chi la circonda e giunge, consapevole, al disvelamento di un io ferito, espresso attraverso le parole segrete di uno scritto. La musica diventa il pulsare del mondo, avvolgente nel ritrarsi della solitudine, una sorta di catarsi,che tuttavia non riesce del tutto a liberarsi dalle spire del passato: “non sono capace di suonare una musica che non si ricordi del dolore” dice a un certo punto la protagonista alla sua amica Lucilla. E’ un modo per trascendere il silenzio dei tanti anni trascorsi a cercare un proprio ruolo, mentre sua madre si disperava perché lei “non sentiva le carezze del mio silenzio”: il suono assume anche il valore di una maschera, dietro cui celarsi ed essere presente, esprimendo la vita, quella vera, oltre la vana apparenza di un’immagine.

Ilde Rampino

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