lunedì 4 novembre 2013

INTERVISTA A LUIGI PANE





Innanzitutto complimenti per il riconoscimento al premio ProArte di New York. Sei appena rientrato dalla Grande Mela, ci vuoi raccontare qualcosa di questa esperienza?

Sarò banale, ma altre parole non trovo se non dire che è stata un’esperienza di un’emozione grandissima ed indimenticabile. Mentre ero in areo diretto verso l’America o mentre respiravo l’atmosfera delle strade di New York, pensavo spesso tra me e me e mi dicevo con incredulità, “Cavolo, sto andando, sono qui, per ricevere un riconoscimento per il mio lavoro letterario”! Mi sono sentito un po’ come i miei eroi della letteratura e del cinema, ed è stata una sensazione unica. E poi la cerimonia di premiazione all’Ambasciata Italiana con il Console Natalia Quintavalle, o la mattinata in cui sono stato invitato a sfilare alla parata del Columbus Day, riscoprendo un orgoglio nazionale che qui in patria è decisamente sopito ed affievolito… insomma, una centrifuga di emozioni dalla quale ancora non mi sono ripreso del tutto! Ringrazio Michele Centorrino, il Forum Nazionale dei Giovani, e tutto lo staff del premio ProArte che hanno creduto in me e mi hanno conferito questo importantissimo riconoscimento, oltre a permettere al mio libro di varcare l’Oceano.

Il tuo romanzo "Ombre" è uscito da pochissimo e già è stato premiato. Che tipo romanzo è? Di che parla?

È un noir sulla scrittura, che parla dello scrivere, o del non scrivere. Lucio Spanna è un romanziere famoso che non si trova più a suo agio in un mondo dove la scrittura conta sempre meno, dove le persone non leggono quasi più e scrivono ancora più raramente, se non nei linguaggi sgrammaticati degli sms o di WhatsApp, dove il linguaggio è destrutturato, ridotto a semplice e sgangherato mezzo di comunicazione e si avvicina sempre di più ad un protolinguaggio primitivo che alla nostra bellissima ed illustre madrelingua.
In questo desolante contesto, il nostro protagonista cerca di resistere come può, rintanandosi sempre di più dietro la trincea del suo mestiere, quello dello scrittore, forse l’unica cosa che sa fare davvero bene nella sua vita e che per tanto tempo lo ha fatto sentire come una sorta di privilegiato dalla vita. Ma adesso, in questa realtà odierna che lui vive come una vera e propria battaglia, tutto sembra sfuggirgli di mano e divenire incontrollabile, quasi una minaccia; l’amore, l’amicizia, persino il protagonista del suo ultimo romanzo.

Quanto ti assomiglia Lucio Spanna, il protagonista del tuo romanzo?

Per quanto mi riguarda poco e niente. Ma chi mi conosce e ha letto il libro si è divertito a farmi notare tante piccole cose del protagonista che rispecchiano me. Forse hanno ragione, forse no. Magari qualche piccolo “autobiografismo” mi è involontariamente scappato, ma di sicuro non l’ho fatto apposta. Mentre scrivevo di Lucio Spanna non pensavo minimamente a me stesso.

Posso dirti che ci sono molte persone che desidererebbero vivere di scrittura come te... Sei scrittore, sceneggiatore... Vuoi dirci come è nata questa passione?

Non lo so, è nata così, spontanea, senza essere stata piantata… quello che posso dire è che è molto difficile coltivarla e ancora di più farla crescere. L’aria che ha intorno è decisamente non adatta a lei in questo preciso momento storico. Io personalmente per vivere di scrittura faccio una serie di rinunce e sacrifici quotidiani che ho molta paura mi peseranno poi negli anni a venire. Ma non ci posso fare niente. Come scriveva Montale “nulla so rimpiangere”. E per giunta non riesco ad arrendermi.

Come concili la scrittura dei tuoi romanzi con il lavoro da sceneggiatore? Sono due tipi di scrittura molto diverse, vero?

Sono diverse nella forma ma assolutamente uguali nella sostanza. Alla fine è sempre mettere su carta i tuoi pensieri, quello che vuoi o che devi dire.  Ciò che di diverso ha la sceneggiatura rispetto alla narrativa, è che per scriverla bene bisogna necessariamente conoscerne regole e struttura, anche e soprattutto per poi poterle infrangere. Magari se scrittori ci si può anche improvvisare se sia hanno solo un grande talento naturale e tanta immaginazione, a mio avviso sceneggiatore invece no. E guardo con un sorriso chi spesso si autodefinisce tale solo perché ha scritto una sgangherata sceneggiatura di un cortometraggio magari mai nemmeno realizzato. Essere sceneggiatori è una cosa seria che richiede studio e impegno. Io stesso faccio ancora fatica a definirmi con questo termine; ho ancora tanto da imparare ed apprendere.  

Nel tuo libro affronti in pieno la crisi della cultura. In che direzione stiamo andando in Italia secondo te?

In nessuna direzione. È questo il problema. Stiamo andando completamente alla deriva da anni ormai. La Cultura è sempre più considerata dalla classe politica un optional altamente costoso e trascurabile, un qualcosa su cui non vale la pena investire perché, come ha detto qualcuno, non si mangia. Forse noi homini sapiens dovremmo ricordarci qualche volta che se siamo arrivati ad un tale  livello di evoluzione della specie, è perché abbiamo imparato a nutrirci soprattutto col cervello e non solo con lo stomaco. E che la recessione economica di cui tanto si parla e che stiamo vivendo ha forse radici in una recessione culturale paragonabile a mio avviso ai tempi del medioevo. Forse sarò esagerato, ma spesso penso che la crisi economica è solo mancanza di inventiva o di fantasia.
Ogni individuo oggi ha a disposizione computer portatili e smartphone di ultimissima generazione ma a me sembra diventiamo sempre più vicini ai cavernicoli che a persone evolute. Usiamo la potente tecnologia che abbiamo a disposizione per omologarci e farci standardizzare e l’unico grande boom che la massa è riuscita a liberalizzare con il grande potere di internet è stata la pornografia.
Marco Lodoli ha scritto in un recente articolo che siamo tutti sempre più magri, abbronzati e cool, ma presto ci mancheranno perfino le parole per raccontare chi siamo e cosa vogliamo.
Chissà, forse il nostro futuro sarà davvero quello dispotico in cui l’umanità finisce con l’essere schiavizzata dalle stesse macchine che ha creato, come immaginato in Matrix.
Ma, come nella famosa trilogia, mi piace pensare che ci sarà sempre, anche nella peggiore delle ipotesi, un manipolo di uomini valorosi e non omologati, che ragionano con la loro testa e muoveranno per il bene comune contro il sistema.

Un'ultima domanda sul tuo futuro. Che progetti artistici e letterari bollono in pentola?


Tantissimi, pure troppi. È ora di farne uscire qualcuno da sta pentola altrimenti si corre il rischio di farli scuocere a tenerli troppo tempo in ebollizione. 

Nessun commento:

Posta un commento